I carabinieri hanno arrestato 31 presunti affiliati a cosche di ‘ndrangheta del crotonese.
L’operazione, denominata “Sahel”, è stata coordinata dalla Direzione Distrettuale antimafia di Catanzaro.
Le misure cautelari sonno state emesse dal gip del Tribunale del capoluogo.
15 sono finiti in carcere, 7 ai domiciliari e 9 sono sottoposti all’obbligo di dimora.
Le indagini, partite da un episodio estorsivo ai danni di un imprenditore di Cutro, hanno consentito di fotografare le dinamiche del locale di ‘ndrangheta di Cutro dopo l’arresto del boss Nicolino Grande Aracri, e il suo successivo tentativo di collaborazione, poi venuto meno per acclarata inattendibilità.
È emersa così la presenza della famiglia Martino, già collegata a Grande Aracri, al cui vertice, secondo l’accusa, c’è il capo detenuto Vito Martino, composta principalmente dalla moglie e dai due figli, attivi sul territorio di Cutro in contrapposizione ai Ciampà- dragone, che ha cercato di affermarsi sempre più come famiglia di ‘ndrangheta autonoma.
L’inchiesta si è avvalsa anche del contributo dei collaboratori di giustizia Giuseppe Liperoti, Salvatore Muto, Angelo Salvatore Cortese, Antonio Valerio e Gaetano Aloe.
E’ stata certificata l’esistenza di una cosiddetta “bacinella”, finanziata anche tramite lo spaccio e lo smercio d’ingenti quantitativi di droga tra Cutro, Cosenza e Catanzaro per il sostegno economico di affiliati e famiglie dei detenuti.
Dagli accertamenti svolti è emersa la capacità di controllo del territorio grazie alle intimidazioni, tradotta nell’estorsione ai danni di titolari di attività commerciali e usura. Gli indagati, inoltre, avevano la disponibilità di armi, documentata da due sequestri effettuati nel 2021 e nel 2022. Gli investigatori hanno anche scoperto il danneggiamento delle auto di componenti di spicco della famiglia Martino, avvenuto con l’avallo del boss Domenico Mico Megna, ritenuto “significativo” per interpretare i rapporti tra le varie cosche della provincia e l’evoluzione dei rapporti di forza tra le stesse.
Nel corso della conferenza stampa il procuratore facente funzioni delle Dda di Catanzaro Vincenzo Capomolla ha raccontato come la moglie del boss Vito Martino, Veneranda Verni, di 54 anni, ha accolto la notizia del pentimento (poi fallito) del boss Grande Aracri: “Se si pente il capo – ha detto la donna – scriviamo un altro libro“.
“La cosca si è rivitalizzata intorno alla figura di un esponente della consorteria che si trovava in carcere – ha affermato Capomolla – e che dal carcere ha continuato a dare ordini. Il soggetto in questione è Vito Martino, di 54 anni, storico componente dell’omonimo clan da sempre alleato ai Grande Aracri. L’uomo ha veicolato messaggi fuori dal carcere attraverso la propria moglie, anche lei arrestata.
Nella fase in cui i Martino prendono potere “emerge il ruolo delle donne – ha spiegato il colonnello Giovinazzo. L’indagata, infatti, non riportava solo i messaggi del consorte ma dirimeva controversie e impartiva ordini. L’indagine ha permesso di registrare le reazioni dei sodali alla notizia del pentimento di Grande Aracri: stupore, sgomento. Infine le strutture di comando e militari della cosca si sono mosse per colmare il vuoto e si sono strette intorno alla figura di Vito Martino“.