ATTIVISTA CURDO IRANIANA IN CARCERE A CASTROVILLARI. DIFENSORI: “DIRITTI NON GARANTITI”

Gli avvocati difensori di Maysoon Majidi, 28 anni, regista ed attivista curdo iraniana arrestata a Crotone per favoreggiamento all’immigrazione clandestina dopo lo sbarco di 77 migranti del 31 dicembre scorso sono sul piede di guerra per quanto sta avvenendo alla loro assistita che si trova reclusa nel carcere di Castrovillari.

Se deve essere detenuta in Italia da innocente e senza riuscire a capire quali accuse le sono mosse – scrivono gli avvocati Luca Gagliardi e Shady Alizadeh del Foro di Trani – preferisce affrontare il carcere o pene maggiori in Iran dove conosce la propria colpa che è quella di essere donna e di voler vivere la propria vita“.

La Guardia di finanza l’aveva arrestata per le testimonianze di due migranti secondo i quali la donna distribuiva cibo e acqua agli altri compagni di viaggio e faceva mantenere la calma a bordo, ma non avrebbe guidato materialmente l’imbarcazione, condotta invece da un cittadino turco.

Maysoon Majidi, di 28 anni, è stata costretta a lasciare l’Iran nel 2019 dopo aver partecipato alle proteste contro il regime dove sono morte oltre 1.500 persone. È scappata nel Kurdistan iracheno continuando il suo attivismo per le donne curde e iraniane ma ha dovuto lasciare anche l’Iraq perché anche lì perseguitata e per questo si è imbarcata per raggiungere l’Europa.

Martedì scorso, davanti al gip del Tribunale di Crotone Elisa Marchetto, si è svolto l’incidente probatorio che prevedeva la presenza dei testimoni. Nel corso dell’udienza si è scoperto, però, che non era possibile ascoltare i due testimoni i quali – dopo tre mesi – hanno lasciato l’Italia. La Guardia di finanza, affermano i due avvocati, ha comunicato di non aver prova della notifica della convocazione per questo il Gip ha disposto di notificare l’ordine di comparizione per il testimone al corpo di polizia estero più vicino per poter svolgere l’ascolto a distanza del testimone.

La vicenda giudiziaria dell’attivista iraniana mostri i limiti del decreto Piantedosi che – scrivono i legali – “predilige una presunzione di colpevolezza invece che la presunzione di innocenza prevista nel nostro ordinamento, che dovrebbe accompagnare chiunque cittadino italiano o meno“.

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